6 Febbraio 2025

UNE LETTRE À ADRESSER À CEUX QUI M’ONT AIDÉ POUR LE TRACTEUR

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Ricordate il trattore che, anche attraverso la raccolta delle quote di partecipazione a una cena dello scorso anno, si è riusciti ad acquisire per don Gratien, il prete del Burundi che ha incrociato nel suo percorso italiano la parrocchia e i parrocchiani della Natività? Bene. Di seguito una lettera di don Gratien, una bellissima testimonianza indirizzata a quanti hanno offerto il loro contributo alla realizzazione di un sogno.

 

Une lettre à adresser à ceux qui m’ont aidé pour le tracteur [Una lettera da indirizzare a coloro che mi hanno aiutato per il trattore].

 

«Siete sempre nel mio cuore e nelle mie povere preghiere»

 

Carissimi, vi saluto con un grande abbraccio di pace. Per tanti è da tempo che non ci sentiamo… vi chiedo scusa. Anche se dicono che “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, siete invece sempre nel mio cuore e nelle mie povere preghiere. Questo silenzio non dipende dalla mancanza di volontà e di cuore ma da tanti altri fattori legati alla nuova situazione in cui vivo ora.

Sono passati più di sei mesi da quando sono rientrato nella mia Patria dopo quasi vent’anni di esperienza in Italia, la mia seconda patria che ho tanto amato e cercato di servire da vero cittadino italiano, per quanto potessi fare. Non posso nascondervi la nostalgia per la terra e per tanta gente che ho incontrato durante il mio lungo soggiorno… Ecco perché ho voluto raccontarvi la mia nuova situazione, da quando sono arrivato ad oggi; un modo per condividere un pezzo della mia vita di adesso.

Inizio col dire che sono contento di essere tornato in patria. Il ritorno è stato da sempre il mio sogno. Un sogno per alcuni «folle», non capito e non condiviso del tutto; una forma di pazzia che non si spiega. Eppure, ho sempre sperato e creduto in questo «sogno folle», per amore della mia gente e delle mie origini, per il desiderio di condividere qualcosa di questa mia esperienza con quella gente con la quale ho condiviso la mia infanzia. Le nostre origini sono come una calamita: creano in te qualcosa d’indelebile, indimenticabile. E quando le nostre origini ci chiamano, occorre ascoltarle, anche se questo ascolto comporta la rinuncia a tante cose.

E per quanto mi riguarda, vi confesso che la strada che ho percorso mi è costata parecchio ed è stata piena di intoppi e peripezie. Arrivato in Burundi, ero strafelice di poter riabbracciare i miei, incontrare tanti volti della mia infanzia, condividere con loro una chiacchierata, un passatempo, una birretta, secondo le nostre usanze culturali. I miei primi giorni sono trascorsi come la luna di miele per gli sposi: un tempo che vivi e che passa in fretta. Terminato questo breve periodo, sono entrato nel vivo della realtà, quella vera, vissuta da tutti, tutti i giorni. L’impatto non è stato facile.

Innanzitutto per portare a casa il trattore – la cosa che più di mille altre custodivo nel cuore, anche perché è un regalo prezioso che è nato da un mio sogno profondo – ho dovuto sudare acqua e sangue. Non me lo aspettavo. Non me lo immaginavo. Anche perché quando condividevo il mio sogno di avere un trattore con i miei parrocchiani, amici e conoscenti dell’Italia, mi ero informato su tante cose, per esempio sulle pratiche necessarie per sdoganarlo e quant’altro. Tutti mi dicevano che, essendo un mezzo agricolo, ci sarebbero state delle agevolazioni. Eppure, quando è arrivato il momento, sono dovuto andare a Dar es Salam e per più di un mese non sono riuscito a concludere le pratiche necessarie. Tutto questo tempo a causa di una burocrazia che non fa altro che favorire la corruzione.

Con tanta burocrazia, corruzione e ingiustizia, molti paesi dell’Africa hanno costruito un muro che è un vero ostacolo che impedisce ogni piccolo o grande passo verso il progresso e lo sviluppo.

In tanti uffici, dove passavo per le pratiche, direttamente o indirettamente mi chiedevano qualcosa. E ho pagato un capitale. Finite le pratiche, ho cominciato l’impresa del viaggio di ritorno. Si tratta un viaggio che dura due o al massimo tre giorni. Invece ho impiegato una settimana e per quattro volte con gli autisti ho dormito nei camion o fuori, all’aperto, in mezzo alle zanzare. Il dispiacere grosso di questo viaggio è stato il constatare le menzogne e la furbizia di tanta gente, tutto per il guadagno. L’agenzia, per trasportare il trattore, ha noleggiato un tir che non andava sulla strada da secoli. L’ho pagato in dollari e con questi soldi aggiustavano il tir che portava il trattore, perché non arrivava a coprire 100 km senza guastarsi. E su una distanza di più di 1500 km, si può intuire quante fermate obbligate abbiamo fatto. In quel frangente, ciò che mi è pesato di più è stato sapere di avere tutte le ragioni di questo mondo ma che nessuno ti avrebbe ascoltato o ti sarebbe venuto incontro per farle prevalere.

Come se non fosse sufficiente il travaglio in Tanzania, quando sono arrivato in Burundi, sfinito dal viaggio, l’accoglienza alla frontiera mi ha preannunciato alcuni segni di quello a cui sarei andato incontro. La stessa scena vista in Tanzania si ripeteva questa volta in Burundi. Mentre in Tanzania ero straniero, e quindi potevo comprendere, in Burundi ho fatto tanta fatica a capire. Eppure è successa la stessa cosa: gente che ti chiedeva una mancia, burocrazia, corruzione, ingiustizia… in breve lo stesso scenario, uguale e identico. Ma qui ho provato un grande dolore: vedere un paese che vuol uccidere ogni iniziativa, che stronca le idee senza proporre qualche altra prospettiva, soprattutto per la gioventù. Non ho pianto di fronte a questa situazione (anche perché per la nostra cultura le lacrime di un uomo scendono nella pancia e non escono fuori), eppure c’era tanto da piangere. Mi sono fatto forza per combattere, combattere per il mio sogno, le mie idee, i miei diritti e la mia dignità. Dicono che bisogna avere sogni per sperare in un futuro… ma con i nostri sogni occorre avere anche tanta forza d’animo, perché qualcuno ti darà sempre contro o cercherà di metterti i bastoni tra le ruote. Non importa! Non bisogna mai arrendersi! Ciò porterebbe alla rinuncia del nostro credo, quindi al rinnegamento di noi stessi. La tenacia, quando è sostenuta dalla fede, non è testardaggine ma un valore incredibile.

Ho dovuto avere la pazienza di attendere un mese, prima che mi rilasciassero il trattore e non tutti i miei effetti personali, perché mi sono stati rubati. Cosa mancava tra i documenti che mi chiedevano? Niente! Solo che dovevo sganciare qualche soldo qui e là. È brutto un sistema che considera il popolo come una mucca da mungere per rubare legalmente, oltretutto senza mai concedergli qualche suo diritto! Nonostante questo, devi far finta di niente, non puoi alzare la voce! Ma come può crescere un popolo dove i giovani non possono avere dei sogni, delle idee, dove sono senza diritti e senza voce?

Avevo avanzato già da gennaio 2017 una richiesta per avere un terreno da sfruttare con il mio trattore, aspetto ancora la risposta. Forse oggi c’è qualche speranza. Vi saprò dire.

Finora, quindi, il mio sogno è ancora allo stato embrionale, per non dire in gestazione! Quando ero ancora in Italia, credevo sarei arrivato e avrei cominciato subito. Ero impaziente di arrivare ovvero di cominciare. Ad oggi ho dovuto coltivare pazienza, calma, comprensione, pace nel cuore. Ho visto che non ha importanza ardere per bruciare come paglia ma mantenere la brace di un sogno, di un desiderio, di un ideale perché un giorno, giunti alle condizioni necessarie, possa riaccendersi e diventare quella fiamma che illumina e riscalda. Non ho ancora cominciato ma, prima o poi, avrò buone notizie da darvi. Come avete condiviso l’entusiasmo di questo sogno, vi chiedo anche di condividere la pazienza e la speranza.

Carissimi, a tutti coloro che con amore e sacrificio hanno contribuito perché io avessi questo trattore, come l’ho sempre manifestato, ci tengo tuttora a dire con tutto il mio cuore, grazie. Grazie perché avete dato un respiro al mio sogno. E, nonostante queste difficoltà, vi assicuro che non mollerò. Aspetterò il tempo necessario senza abbandonare il sogno.

Per quanto riguarda la mia vita in generale, al di là dell’impatto negativo che ho avuto nei primi mesi, mi sono ambientato. L’incarico che mi è stato affidato in diocesi mi ispira, anche se ho poche competenze in materia. I ritmi e la mentalità qui sono diversi ma cerco di adeguarmi, senza buttare via le cose belle che ho imparato in Italia, anzi cercando di valorizzarle e condividerle. Tra queste cose belle che ho vissuto e imparato, ci tengo a sottolineare il senso di responsabilità, la passione per il lavoro come servizio e non solo come fonte di guadagno a scapito degli altri, l’uso giusto del tempo, il valore e il rispetto della vita, la cura del bene comune e in particolare dell’ambiente, l’amore per la giustizia e l’importanza della legalità. Sento ora la necessità di condividerle con i miei connazionali. Il bagaglio che mi porto dentro è molto ampio e ricco. Il mio desiderio è di riuscire a condividerlo con la mia gente. Da parte mia ho tanta volontà, perché so che anche da lontano continuerete a sostenermi, con il cuore, con l’affetto e con il pensiero.

Certamente questa esperienza poteva suscitare in me tanta rabbia e delusione. Tuttavia, è stata una dura ma grande e bella lezione di vita. Tra la vita in Burundi e in Italia c’è una differenza abissale ma sto imparando a vivere unendo le due esperienze. Mi rendo conto che abituarsi a uno stile di vita può creare delle illusioni o una visione distorta di altre realtà. Il valore di tante cose è relativo. Tanti aspetti della vita in Italia sono scontati e sembrano banali; eppure, in un altro contesto, sono il frutto di tanto sudore e possiedono un’importanza capitale.

 

Vissuto e raccontato da Gratien Niyuhire.

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